«Become what you must… Become the Warrior… of Darkness!»
I colori hanno da sempre avuto un significato metaforico per gli esseri umani. Il rosso rappresenta la passione così come il blu richiama la spiritualità; la natura è riassunta nel verde tanto quanto il misticismo è riconducibile al viola. Il bianco è il Bene ed il nero è il Male. Ma cosa accade quando una di queste analogie smette di essere vera? Accade che è necessario ristabilire l’equilibrio, accade che le fondamenta su cui si regge Shadowbringers, terza espansione di Final Fantasy XIV, sono state poste.
Sotto un cielo terso e malinconico assistiamo all’eredità del Diluvio, una catastrofe avvenuta a causa dello squilibrio tra luce ed oscurità. La luce, privata del suo contrappeso naturale si è riversata sul mondo con l’impeto di una diga divelta ed una potenza distruttiva senza precedenti. Tale è la magnitudine della calamità che la notte ha smesso d’esistere e creature aberranti sono state partorite da quell’elemento così tante volte associato a vita e virtù.
Ciò che siamo chiamati a fare come Guerrieri dell’Oscurità non è diverso da quello che avevamo compiuto parteggiando per la forza ad essa opposta, ciononostante offre prospettive inaspettate e sfuma ancora di più i gagliardetti -apparentemente- monocromatici delle fazioni in gioco. Non si tratta di dire che la luce è il male, ma di andare più a fondo: Che cosa è il Male? Se il male sono gli Ascian, allora chi sono gli Ascian? Qual è la radice di tutto?
Le risposte, mai sufficienti, portano a quello che si potrebbe definire un apogeo che segna una nuova altezza da superare per Final Fantasy XIV e le future Fantasie Finali. Amaurot è una “moderna Zanarkand”, e tra le note di Mortal Instincts siamo testimoni di quella che è, senza troppi giri di parole, l’Apocalisse. I riferimenti, per un ragazzo cresciuto a pane e Libro della Rivelazione, sono chiari come il fuoco che cade dal cielo ed illuma a giorno lo scheletro della Capitale degli Ascian.
«Remember us… Remember that we lived.»
Vedere questi giganti quasi alieni contribuire alla loro distruzione in modo tanto involontario quanto comprensibile è straziante. Non si tratta di dèi malgrado divino sia il loro potere. Ed è anche questo il bello: scoprire passo dopo passo come anche la più alta delle creature non sia poi così incomprensibile. Hydaelyn e Zodiark sono Primal ancestrali, ma pur sempre Primal. Gli Ascian sono de facto “Uomini” con poteri troppo grandi per loro.
Questo ci porta ad un discorso un po’ più intimo ed importante: chi ha ragione? Perché se dovessimo (e non è necessario, ma facciamo finta per un secondo che lo sia) discutere prendendo unicamente in considerazione poteri, responsabilità e conseguenti colpe, allora gli Ascian sarebbero senz’ombra di dubbio malvagi ed i loro oppositori chiaramente buoni. Tuttavia, dobbiamo tenere a mente un’argomentazione sollevata ben poche volte: lo scarso valore che Emet-Selch dà alla vita delle altre, incomplete, creature. È giusto sacrificare miliardi di esistenze parziali affinché un pianeta popolato da veri individui rinasca? La controargomentazione è che tramite gli abitanti di Eorzea siamo stati spettatori di storie cariche di emotività: amore, risentimento, avidità, passione e quant’altro possa attraversare l’animo di questi individui. Loro sono come noi tanto quanto noi siamo come loro, ed è naturale parteggiare per chi comprendiamo a scapito dell’entità machiavellica e semidivina che programma con lucidità una serie di genocidi. Eppure, il valore dato alla vita è totalmente arbitrario ed Emet-Selch nella sua testa è l’eroe proprio in quanto capace di concepire un discrimine. A differenza di altri antagonisti che infliggono sofferenze perché possono, l’Ascian lo fa perché deve. Di contro, Vauthry è l’incarnazione del Complesso del Messia, un uomo disposto a tutto pur di ottenere il potere e soddisfare la propria mania di grandezza. Come all’interno di un’“apocalisse zombie” in cui l’umanità regredisce ad una società tribale ci si pone la domanda su chi sia il vero mostro, così appare lampante come anche dopo una delle più grandi tragedie che possano abbattersi in un mondo abusi e sopprusi la facciano da padrona.
«But you had to, didn’t you? For those you had lost. For those you can yet save.»
Pare quasi ironico come la luce acciecante del The First renda visibili ombre che l’essere umano non può esimersi dal serbare dentro di sé. Thancred è il personaggio su cui è stato stato realizzato uno dei migliori lavori di approfondimento, per quanto mi riguarda. La durezza con cui interagisce con la nuova Minfilia è scevra da qualunque tipo di indoramento così come deve essere quando si scrive una storia, ed è bene non dimenticarlo mai. I personaggi possono commettere sbagli, chiedere scusa o viceversa mandare all’aria un rapporto personale perché è così che le cose accadono nel mondo reale e sì, un Fantasy può essere realistico pur avendo una quantità di razze superiore alla decina, entità capaci di frammentare un mondo, draghi e bestie di ogni genere, basta saper scrivere.
E, parlando di scrittura, è impossibile non menzionare una delle cose che Final Fantasy XIV fa in modo magistrale: citare le Fantasie Finali del passato. Se Stormblood ha avuto Doma di Final Fantasy VI quasi a voler sottolineare il tema della lotta contro l’Impero, Shadowbringers – escluse le razze caratteristiche di Final Fantasy X e Final Fantasy Tactics/XII – mostra alcune interessanti similitudini con Final Fantasy IX.
In primis Emet-Selch ed il Garland di Tera condividono lo scopo di ripopolare i loro pianeti a scapito di molti altri (I Thirteen per Emet-Selch e Gaia per Garland) e non si fanno problemi ad usare altri individui come vere e proprie armi viventi. In secundis vi è la trasformazione di Emet-Selch in Hades, avversario inizialmente concepito per essere il Boss Finale di Final Fantasy IX prima di essere sostituito da Necron – che non a caso condivide le sembianze con la seconda forma di Hades in Final Fantasy XIV. Personalmente, trovo queste citazioni assai “eleganti e pulite”; i riferimenti non sono un’accozzaglia di nomi e luoghi inseriti allo scopo di far esaltare i più nostalgici, ma richiami agli “antichi fasti” capaci di restare sulle loro gambe proprio perché la loro profondità va ben oltre l’assonanza con il passato.
Urla. Silenzio. Battito d’ali. Silenzio.
Non mancano avvenimenti che lasciano piccole perplessità come il salvataggio in extremis di un Thancred che in uno scontro degno del più classico degli shōnen aveva usato – letteralmente – ogni cartuccia a sua disposizione. Per quanto risulti sempre più chiaro che diversi personaggi arriveranno al finale – anche perché non sarebbe la scelta migliore far morire di colpo i vari comprimari dopo ben tre espansioni dove sono scampati a tutto più volte – sarebbe interessante assistere a vittorie più sofferte, soprattutto se si pensa che una delle scene più tragiche dell’espansione avviene dopo appena qualche ora di gioco (sì, mi riferisco alla prima trasformazione in Sin Eater della quale siamo partecipi).
Tuttavia, al di là di quelle che reputo poco meno che sbavature vi è un disegno quasi perfetto. Un disegno grande e ricco di dettagli. E lo guardo, e più lo guardo, più la presenza di particolari tanto minuziosi quanto interessanti mi spinge, quasi assuefatto da questo semplice gesto, a guardare ancora. Mi ricorda la meraviglia di questa Fantasia ossimoricamente Finale. Mi ricorda che cosa può essere questo franchise quando ci sono Cuore, Dedizione, Talento ed Immaginazione a sorreggerne le opere, quasi fossero i Quattro Cristalli a noi tanto cari.
Ed è per questo che continuo a guardare.
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