Il 2005 fu l’anno che fece nascere nella mente della gente il desiderio ardente di un remake di Final Fantasy VII e i motivi furono due: la tech demo per PlayStation 3 e il film Advent Children, che fungeva da sequel agli eventi del gioco. Da allora, per ben 10 anni, la gente ha chiesto a gran voce a Square Enix un remake di quello che è stato uno dei videogiochi più importanti della storia. Che sia il vostro preferito o meno, che vi piaccia o meno, l’impatto che ha avuto Final Fantasy VII nel mondo videoludico ha ben pochi precedenti. Non è solo il gioco che ha aperto le porte al JRPG in occidente, non è solo il gioco che ha sfruttato e dimostrato la potenza del 3D sulla prima PlayStation, ma è stato il primo videogioco a far scoprire alle masse di cosa era capace questo medium sul fronte della narrativa, della musica e caratterizzazione dei personaggi. Qualcuno farà notare che esisteva già Final Fantasy VI, ma purtroppo l’eccellenza del sesto capitolo non fu capace di scuotere il mercato. Lo dimostrano le oltre 12 milioni di copie vendute ad oggi di Final Fantasy VII, ma soprattutto lo dimostra l’incredibile boato mediatico che ha scatenato l’annuncio del remake durante l’E3 2015. Non esiste nella storia della fiera di Los Angeles un evento che fu capace di creare cosi tanto rumore e cosi tante reazioni.
Non è quindi facile riuscire a fare una recensione quanto più oggettiva possibile per un gioco del genere, soprattutto per chi vi scrive, visto che Final Fantasy VII per me è stato il gioco che più ha impattato sulla mia formazione, sulla mia persona e sulla mia vita. Come potete immaginare ho seguito lo sviluppo del gioco sin dal suo annuncio e per tanto ho visto come la gente ha cercato di approcciarsi al remake con fare dubbioso e timoroso, soprattutto a fronte delle dichiarazioni di Square Enix tali per cui avrebbero confermato che il gioco sarebbe stato diviso in più parti. Lo capisco, dico davvero, sebbene io fui uno dei primi e dei pochi a rendersi conto dell’entità del lavoro che c’era dietro e della visione che voleva portare avanti il team di sviluppo. Per quanto nel corso di questi 5 anni abbia cercato di giustificare e difendere la scelta di Square Enix, dopo aver finito il gioco ho scoperto che non era più mio compito farlo, perché a darvi tutte le risposte che cercate ci penserà il gioco stesso.
Non c’è un modo facile per dirlo se non facendolo direttamente e senza tanti giri di parole: Final Fantasy VII Remake è semplicemente un’opera magistrale e incredibile, capace di trascinarti in un turbine di emozioni che ti investono come un treno in corsa. Lo stesso treno che porta Cloud ad affrontare la bombing mission nel settore 1 e che darà inizio a uno dei più grandi viaggi mai affrontati in compagnia di personaggi così ben scritti e così ben caratterizzati da far venire i brividi. La scrittura di Final Fantasy VII Remake è talmente ben fatta da sovrastare in toto quella del gioco originale, che era già sopraffina nel 1997. I personaggi, compresi quelli secondari, sono stati rivisti e adattati nel raccontare una storia a più ampio respiro, andando ad approfondire temi e questioni che nell’originale erano a malapena accennati. Tutti risplendono di una nuova luce e tutti sono inseriti in un contesto che permette loro di dare un senso e uno scopo alla loro presenza, compresi quelli nuovi e inediti inseriti ad hoc per questo remake.
Parlando di situazioni nuove, anche le aggiunte di trama e le ambientazioni create per questo remake hanno sì, sicuramente, la funzione di diluire un po’ la storia per giustificare le 40-45 ore che vi serviranno per portare a termine il gioco, ma sono state pensate e inserite in maniera credibile e mai forzata, permettendo alla narrazione di scorrere fluida e di non risultare mai noiosa o banale. Per carità, ci sono situazioni più o meno riuscite, tipo qualche nuovo dungeon magari eccessivamente lungo, ma nel complesso il risultato si può dire perfettamente riuscito.
Una piccola nota per quanto riguarda i sottotitoli: era venuta fuori la questione che la localizzazione italiana si basasse sulla versione giapponese piuttosto che su quella inglese, ma in realtà avendolo giocato in giapponese ho scoperto che la traduzione non segue né l’una né l’altra. E lo dico con accezione negativa, perché mentre l’adattamento inglese ha un senso (e per certi versi caratterizza anche meglio alcuni personaggi), quello italiano risulta spesso banale, fuori luogo e fa dire cose ai personaggi che normalmente non direbbero.
Risulta davvero incredibile il rispetto e l’amore maniacale dell’opera originale, al punto tale e paradossale che aver già giocato all’originale risulta un plus incommensurabile, capace di emozionare per le scene più semplici e banali, ma viste con gli occhi di chi nel 97 quelle cose le aveva viste su un fondale prerenderizzato con personaggi 3D cubettosi e superdeformed. Non nascondo che sono stati tanti i momenti in cui mi sono commosso, come quando ho messo piede per la prima volta nel bar di Tifa, l’incontro con Aerith nella chiesa e addirittura la presentazione di Red XIII, per assurdo già vista nel trailer, ma semplicemente da pelle d’oca quando vissuta in intimità.
Addirittura alcuni mostri, che nell’originale apparivano solo negli incontri casuali e senza un minimo di contesto (tipo Eligor o la Hell House), qui hanno trovato un loro senso e una loro perfetta esposizione. E di casi come questi il gioco ne è davvero pieno, perché in questo modo non hanno tralasciato proprio niente. Chi ha amato l’arco narrativo originale di Midgar non sentirà la mancanza di nulla. Il team di Square Enix non ha minimamente deluso su questo fronte. Chiariamoci, il gioco è stato pensato anche e soprattutto per chi all’originale non ha mai giocato e a loro va il vantaggio di scoprire e innamorarsi per la prima volta di quei personaggi e di quel mondo.
Come ovviamente già tutti sapete, questo FFVII Remake è il primo gioco di un progetto diviso in più parti e la sua conclusione arriverà dopo la fuga da Midgar. Anche qui sarà il gioco stesso a spiegarvi, più di quanto potremmo fare io o altri, il perché è stato necessario suddividere l’intera storia in più giochi, viste la quantità e la qualità di asset usati per ogni singola location (non a caso il peso del titolo è di ben 100 GB). Pensare di far stare tutto Final Fantasy VII Remake in un unico grande titolo era semplicemente e concretamente impossibile, non con quella qualità, non con quelle proporzioni e non senza tagli, compromessi che qui non troverete mai. In questo remake c’è tutto, ma proprio tutto, quello che era presente in termini di eventi, mostri e dungeon che abbiamo imparato a conoscere nel vecchio FFVII. Ancora più impressionante è il come lo abbiano fatto, il come abbiano mantenuto certe dinamiche e addirittura certi momenti sopra le righe, come l’ Honey Bee Inn e la necessità di travestire Cloud da donna. Rimarrete a bocca aperta.
A livello di gameplay, la decisione di ibridare l’ATB e l’action risulta pressoché perfetta, forte della possibilità di sfruttare le pause tattiche per scegliere le abilità, magie e oggetti che servono all’occorrenza (sacrificando segmenti di barra ATB) o di usare le shortcut non fermare mai l’azione. Dove questo sistema di combattimento risplende è sicuramente nelle boss fight, incredibilmente divertenti e che richiedono una sfida sopra la media, chiedendo al giocatore di muoversi e posizionarsi durante le varie fasi che caratterizzano questo tipo di scontri. Ovviamente la materia sarà protagonista nell’avvantaggiare il party durante le battaglie, dall’utilizzo delle magie elementali, fino a quelle tattiche e di supporto, che vanno dall’incrementare la velocità dell’ATB all’analizzare i nemici e le loro debolezze, passando per quelle che permettono di aggiungere nuovi attacchi ai personaggi.
Le combinazioni con le materia non sono tantissime, come nell’originale, per ovvi motivi, ma fanno il loro lavoro ed è divertente soprattutto nell'”endgame” come queste siano essenziali per superare le sfide più difficili. Non dimentichiamoci delle Limit Break, che in alcuni casi possono davvero fare la differenza nell’esito di uno scontro, soprattutto quelle di livello 2 che andranno sbloccate in un particolare modo che lasceremo a voi il piacere di scoprire.
Il gioco è arricchito poi da svariate quest secondarie e minigiochi, vi divertirete quindi a riscoprire alcuni classici come gli squat o le sfide in moto, oppure scoprire nuovi minigiochi come le freccette o le trazioni. Le missioni opzionali, invece, sono di due tipi: le classiche quest per aiutare gli npc sconfiggendo mostri o cercando oggetti e quelle di ricerca, in cui bisognerà soddisfare determinate condizioni durante il combattimento per poi essere ricompensati con materie uniche, tra cui le summon. Ad eccezione di Ifrit e Chocomoguri, infatti, le summon andranno conquistate affrontandole in “missioni VR”. Oltre i già annunciati Leviathan e Shiva, c’è anche CiccioChocobo, che per assurdo è tra le più potenti presenti nel gioco (le sue mosse infatti consumano sempre 2 segmenti ATB). Le summon sono state pensate intelligentemente: si possono evocare solo nei combattimenti contro i boss o nei combattimenti speciali, giustificando la loro evocazione e soprattutto donando loro la dignità che meritano. Combattere a fianco a loro e potendo gestire i loro attacchi è una scelta che paga senz’altro nell’esperienza complessiva. Esistono anche due arene dove poter partecipare a sfide particolari per ricevere premi interessanti, ma anche qui non vogliamo anticiparvi nulla per non rovinarvi la sorpresa.
Qualcuno di voi si chiederà cosa succede una volta finito il gioco e se ci sono attività da endgame: la risposta è si, ma per motivi abbastanza palesi dovuti alla narrativa, il gioco ha previsto una rigiocabilità dei capitoli in maniera singola a difficoltà più elevata, ciascuno atto a sbloccare qualche extra che alla difficoltà più bassa non era possibile fare, come quest e boss segreti. Niente di particolarmente entusiasmante, sappiatelo, ma è chiaro che Midgar non aveva i presupposti per offrire un endgame come quelli storici di Final Fantasy. In compenso la modalità difficile qualche soddisfazione la dà, grazie alla potenza dei boss vengono richiesti ai giocatori un sacco di tattica e strategia per poter essere abbattuti, e in alcuni casi anche alcuni scontri contro i nemici comuni necessitano della stessa attenzione. Questo perché anche le risorse, qui rappresentate dagli MP, vanno gestite, visto che l’utilizzo degli oggetti in modalità difficile verrà disabilitato (ovunque, sia in battaglia che fuori).
Un discorso a parte va fatto per le musiche, per me da sempre grandi protagoniste non solo di Final Fantasy VII, ma di qualsiasi videogioco che voglia raccontare o comunicare qualcosa. Le musiche sono composizioni basate sulla soundtrack originale di FFVII e, sebbene non siano realizzate dal suo autore originale, Nobuo Uematsu, il lavoro eseguito da Masashi Hamauzu e Mitsuto Suzuki è a dir poco egregio. Uematsu in compenso ha scritto e composto Hollow, il tema principale del gioco anch’esso davvero molto bello, soprattutto per il significato che ha rispetto al titolo. Tutte le musiche di FFVII Remake vi colpiranno dritto al cuore e ve lo scuoteranno per ricordarvi quanto è grande l’esperienza di un gioco di questo calibro.
A leggere quanto ho scritto fin qui qualcuno potrebbe pensare che sia stato troppo esagerato con il giudizio: possibile che sia tutto così bello e non ci sia neanche un difetto? Non è così infatti, perché adesso arriviamo al vero grande difetto di Final Fantasy VII Remake: il capitolo finale. Difficile parlare di questo capitolo finale senza fare spoiler, ma è giusto che lo vediate e lo viviate voi stessi, ma sappiate che c’è un cambio di registro e, soprattutto, un ribaltamento totale di trama che vira totalmente il gioco verso un’altra direzione. In realtà non sarebbe neanche stato un problema se fosse stato costruito e realizzato con le giuste modalità, ma buttato così non ha proprio senso. Non solo questo finale riscrive, apparentemente, alcuni eventi dell’universo di Final Fantasy VII, ma rischia addirittura di aprire porte che non si sarebbero dovute aprire. Ovvero la porta del reboot. Perché con questo finale nulla vieta di fare quello che vuole dal secondo gioco in avanti con la trama del gioco. Ma sapete una cosa? Non sarebbe nemmeno stato un problema se il gioco fosse stato presentato come tale. Io ho capito cosa sta cercando di fare Square Enix, ho capito le loro intenzioni e il loro messaggio, ma il problema è come lo hanno fatto e come hanno deciso di metterlo in scena. Non va bene, è completamente sbagliato su qualsiasi aspetto lo si analizzi. Ci avevano promesso il remake, ci hanno fatto vivere il remake e poi all’ultimo c’è il rischio che cambino le carte in tavola? Chiariamoci: non sappiamo se questo finale effettivamente impatterà sul futuro degli eventi dei prossimi titoli, ma solo il fatto che esista crea questa possibilità. Se questa possibilità si concretizzerà allora Square Enix ci avrà mentito, io come penso tanti altri fan della serie difficilmente riusciranno a digerirlo.
Al netto della grande caduta di stile nelle ultime battute, Final Fantasy VII Remake resta un’esperienza tutta da vivere e da scoprire, o riscoprire per i veterani del leggendario settimo capitolo. A prescindere di quello che sarà il futuro di questo progetto, cerchiamo di stare con i piedi per terra e valutiamo per il momento questo primo grande passo che è stato fatto: Final Fantasy VII Remake rappresenta una delle più bei rifacimenti che il mondo dei videogiochi abbia mai visto. Il rispetto e l’amore che è stato messo in ogni singola ambientazione non ha pari e vi fermerete a fare screenshot in ogni angolo della grande metropoli di Gaia, perché tale è la bellezza di certi scorci che lasciano senza fiato. Merito di una realizzazione tecnica sopraffina, che in alcuni momenti raggiunge quasi il confine e il sapore della nuova generazione. Final Fantasy VII Remake è la concretizzazione delle immagini che scorrevano nella nostra mente nel 1997 quando giocavamo all’originale su PS1, un sogno che si avvera. Peccato poi venir svegliati così bruscamente.
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