Final Fantasy X è uno di quei capitoli della serie che gioca moltissimo con alcuni concetti estremamente profondi, i quali, trascendono in più occasioni la dimensione fittizia della sua trama, per andare a toccare anche alcune particolari corde della società e della percezione sociale umana (questo è, in realtà, un approccio facilmente riscontrabile anche negli altri capitoli targati Square Enix, come nel VII Remake, ad esempio, ed il suo discorso verso il pianeta). Uno degli elementi centrali del titolo resta “la religione” e il modo in cui influisce su ogni singolo aspetto del mondo di gioco. Partendo proprio da questa, partendo da un’identità che si fa ingombrante fin dai primissimi istanti, questo videogioco introduce uno dei suoi elementi narrativo-linguistici più affascinanti: gli Albhed.
E’ curioso notare come questo popolo o stirpe specifica aleggi lungo tutta la trama, divenendo una voce che silenziosamente e parallelamente al punto di vista principale, accompagna ogni passo del protagonista, nel suo incedere tra le incoerenze di Spira.
Non solo l’identità degli Albhed pervade tutto Final Fantasy X, anche dal punto di vista linguistico e strutturale, ma si amalgama all’invenzione di un nuovo idioma e alla scoperta di alcune piccolezze e segreti interni al videogioco stesso (questi sono inaccessibili ai novizi), per poi giocare un ruolo importante anche a livello narrativo, divenendo approfondimento culturale e indagine, a seguito della loro completa e successiva lettura.
Chi sono questi Albhed? In realtà questa domanda viene posta al giocatore dal principio della sua avventura, con una loro incursione diretta nelle vicende di Tidus, incursione che in realtà ne mette in evidenza i lati positivi, anche se contornati da un’incomunicabilità e da un’aggressività che di primo acchito risulta inspiegabile. Dal punto di vista culturale, in relazione dunque alla lore del titolo, sappiamo che si tratta di un popolo che nel tempo è stato sempre più stigmatizzato dal clero yevonita (unico vero nucleo del potere su Spira), per via del loro rapporto con le macchine (considerate causa primaria dell’avvento di Sin). Ne vengono fuori, dunque, due punti di vista: da una parte la chiesa che condanna qualsivoglia tipo di progresso tecnologico, inquadrandolo immediatamente come “causa scatenante del male”, e dall’altra gli Albhed, i quali vorrebbero tranquillamente servirsi delle macchine e proprio per questo emarginati dal primo all’ultimo.
Si parla, dunque, di persone che sostanzialmente vivono ai margini della società, isolati da tutti. Final Fantasy X, però, non si limita soltanto a questo, non si limita soltanto alla rappresentazione di una stirpe di persone che scelgono di vivere in maniera distaccata dal resto del mondo. Nel titolo è stata costruita una vera e propria percezione razzista nei loro confronti, un giudizio perpetuamente negativo che si sviluppa rigoglioso in un contesto mentalmente chiuso, come lo è quello di Spira. Questo ragionamento, poi, diventa parte integrante della trama stessa. Il fatto che Tidus sia alieno verso tutte le dinamiche del mondo in cui si trova, proprio come il giocatore stesso, offre una possibilità aggiuntiva, quando si parla di stereotipi come i suddetti. Venendo letteralmente lanciato in un mondo diverso dal suo, ecco che la trama stessa, filtrata continuamente da quello che Tidus vive, offre spunti riflessivi e punti di vista parziali.
La reale identità degli Albhed resta così sospesa in un gioco di idee e credenze, figlie di una sovrastruttura socio-religiosa che delinea ogni singola cosa. Alla base di tutto c’è la paura, il terrore della morte, un terrore mastodontico e indefinito che non può essere previsto in alcun modo, e che trova una sua definizione soltanto nel culto di Yevon.
Quindi l’esclusione, quindi l’emarginazione che non ascolta ed annichilisce. Lungo il pellegrinaggio, Final Fantasy X offrirà più interpretazioni nei confronti di queste persone, interpretazioni sulle quali Tidus stesso si troverà a riflettere, rompendo ancora una volta con il contesto che lo circonda, ed offendo possibilità aggiuntive a quelle del tessuto sociale e ideologico unanimemente condiviso.
Una lingua, una cultura e una speranza
Partendo quindi da Spira e dal suo rapporto con la tecnologia possiamo cominciare a definire, anche dal punto di vista estetico, questi Albhed, anche perché Final Fantasy X li distingue moltissimo da tutti gli altri anche per via del loro aspetto. L’estetica che li disegna, una sorta di fusione tra steam-punk ed elementi sottomarini e tecnologici simil anni ’80, resta uno dei primissimi tratti a differenziarli all’interno del mondo di gioco. Il loro stile potrebbe ricollegarsi tranquillamente alle vicende tramite cui vengono introdotti, al modo in cui si presentano al protagonista stesso ed al giocatore, anche se, ovviamente, non è detto che siano tutti collegati alla vita in mare ed alla tecnologia, qui si parla di tratti generalmente distintivi.
Restando sempre in tema bisogna parlare anche della loro lingua, lingua che potrà essere acquisita nel corso della propria avventura, sbloccando situazioni di trama interessanti e alcuni segreti. In tutto ci sono 26 dizionari Albhed da raccogliere in Final Fantasy X, tutti o nascosti o ottenibili attraverso specifiche interazioni. Questa scelta linguistica, in realtà, sottolinea ancor di più il distacco fra questo popolo e tutti gli altri (anche perché ve ne sono molteplici nell’universo narrativo del titolo), ponendo il tutto come “minigioco” a se stante per il giocatore. Se si analizza la suddetta lingua, comunque, viene fuori che forse, parlare di “lingua” è fin troppo eccessivo, dato che potremmo ridurre il tutto a un codice, con alcune lettere che si sostituiscono a quelle che tutti conosciamo.
Certamente in Final Fantasy X non si parla mai delle caratteristiche prosodiche di questa, non si parla mai del modo in cui le varie sillabe e parole dovrebbero essere pronunciate o accentate, non si parla mai del tono di voce utilizzato dai suoi parlanti, non si parla mai del ritmo di articolazione delle frasi oppure delle sue caratteristiche fonologiche o morfo-sintattiche. E’ comunque facilmente percepibile un’insieme di richiami sonori che potrebbero ricondurre sia verso le lingue nordiche (data la chiusura nella pronuncia di molte vocali e la loro accentuazione) sia verso quelle dell’est, con anche un sentore di arabo per alcune piccolezze.
Resta comunque affascinante l’uso che questo videogioco fa della lingua, un mezzo con cui interagire e costruire qualcosa (anche per le partite successive che si affronteranno), un eco che disorienta ed esclude, pur essendo facilmente accessibile a tutti. Fuso a tutto questo il loro sguardo, elemento immediatamente riconoscibile in questi occhi che vedono le stesse identiche cose degli altri, pur nel loro aspetto distintivo.
Il ragionamento politico di Final Fantasy X
Il potere e il terrore dipingono il mondo di di Final Fantasy X, mondo che, nel suo essere fondamentalmente teo-centrico, si serve di alcuni mezzi per mantenere il controllo della situazione, tra cui la demonizzazione degli Albhed. Questi in molti frangenti vengono identificati e sfruttati come capro espiatorio nascondendo qualcosa di più grande. Il titolo, però, mette ben presto in evidenza l’ipocrisia di fondo a disegnare Spira (guarda l’operazione Mihen), delineando un approccio che mano a mano si fa più profondo con loro, eliminando tutte le sovrastrutture e i tabù che la società del gioco ha intessuto. L’affrontare un argomento come quello degli stereotipi razziali era importante all’epoca e resta qualcosa di estremamente importante anche adesso, specialmente se si ricollega il tutto ad alcuni degli sviluppi più sanguinosi del gioco, in cui sangue innocente viene versato sulla sabbia di un deserto nascosto, non troppo distante dalla nostra realtà.
Rikku, certamente, è il personaggio che rappresenta maggiormente tutto questo, è il personaggio che affronta, durante tutto il suo viaggio, sia il tema dell’accettazione, sia quello del razzismo, offendo un punto di vista inedito da quello unanime, che non andrebbe mai oltre i cosiddetti “insegnamenti” e bigottismi. Un personaggio dunque scisso, non per sua scelta, ma per via del mondo in cui vive, una simbologia narrativa che resta importante (ricordando che questa scissione non coinvolge soltanto lei nel party).
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